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Prodotti economici di base diventano più costosi quando finiscono sugli scaffali dei negozi, per colpa della distribuzione e costi di marketing (branding). Questo Case History racconta come i founder di Brandless decisero di “salvare” i consumatori dalla “tassa del brand”.

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Case History in sintesi

  • – Sito Web: brandless.com
  • – Anno di lancio: 2016
  • – Business oggi: $ 292,5 milioni raccolti
  • – Dipendenti: circa 50
  • – Età dei founders all’inizio della startup: circa 40 anni
  • – Background dei founders: gestione catene di supermercati

L’opportunità colta da Brandless

Nel 2011, quando Brandless stava ancora valutando le ipotesi di sviluppo, dominava la vendita al dettaglio. Non erano ancora diffuse catene cash & carry stile Metro e pertanto i prodotti a basso costo, presenti sugli scaffali erano più costosi. Gli acquirenti pagavano un sovrapprezzo per prodotti di base con un determinato marchio. I founder di Brandless, Tina Sharki e Ido Leffler ci hanno visto un’ingiustizia in questo ed hanno deciso di salvare i consumatori dalla cosiddetta “tassa sul marchio”.

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Come è partito il progetto Brandless

Startup Brandless è stata creata nel 2014 dal partner di Sherpa Capital, Tina Sharki e dall’imprenditore Ido Leffler. Come ammettono gli stessi fondatori, l’idea di business era ispirata a quella della società giapponese Muji (fondata nel 1979).

Muji era riuscita ad abbassare i prezzi dei suoi prodotti, riducendo i costi di marketing e logistica. Tina Sharkey, era founder anche della società mediatica iVillage, che ingloba diversi siti web che trattano tematiche principalmente femminili. Nei primi round, Brandless ha raccolto $ 51 Mln da NEA, Redpoint, GV e campioni NBA Steph Curry e Nick “Swaggy P” Young, ma la fetta più grossa era arrivata da  SoftBank. Tutti questi investitori si fidavano “ciecamente” di Sharkey e Leffler, perché i founders avevano una vasta esperienza sia nel campo dei beni di consumo che delle vendite online (ecommerce).

Oltre a creare una rete di siti per donne, Sharkey è stata anche CEO di una delle filiali di Johnson e Johnson. Leffler ha anche fondato diversi marchi di beni di consumo nell’ambito ecommerce: ad esempio, Cheeky, YesTo and Yoobi. Sharkey e Leffler erano ben noti nelle comunità imprenditoriali ed avevano una reputazione maturata nella gestione della produzione e commercializzazione dei beni di consumo e alimentari.

Sin dall’inizio, l’azienda ha cercato di creare una sorta di community degli utenti del network di siti iVillage e clienti/consumatori di Brandless. Pertanto, quando venivano pubblicate ricette di cucina sui siti iVillage (pubblico femminile), venivano indicati gli ingredienti acquistabili sul sito Brandless. Inoltre i banner e pop-up pubblicitari del network iVillage sono stati girati per puntare sempre su Brandless.

Oltre ad offrire prodotti di base a prezzi accessibili, Brandless utilizza un suo “linguaggio” per comunicare con i propri clienti: il marchio BrandTax Free. Questo aiuta a posizionare i prodotti “senza marchio” come la migliore scelta che un acquirente può fare ed incrementa il valore percepito del prodotto.

Sotto un esempio di questo marchio è BrandTax ™, che viene spesso utilizzato per spiegare il prezzo basso di un prodotto.

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L’azienda afferma di lavorare tagliando i gli intermediari (middleman) per risparmiare sulla logistica e sulle campagne di marketing, liberando così i clienti da una sorta di “tassa” – BrandTax ™ Free. Il risparmio sul marketing è fondamentale visto che i prodotti di questo e-commerce sono low cost ed è ottenuto grazie al network già esistente di siti affini al …

L’articolo Case History: azienda “senza brand” raccolti più di 300 Mln si trova su Prime Consulting.